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    • 05 MAG 16

    La Preservazione della Fertilità – Crioconservazione BANCA SEME E OVOCITI

    La vitalità delle cellule sessuali (spermatozoi e ovuli) e degli embrioni può essere mantenuta per lunghi periodi, se sono conservati a temperature molto basse.

    Spermatozoi
    La crioconservazione di spermatozoi è una metodica molto semplice ed efficace che non presenta particolari difficoltà; vi si può ricorrere, per esempio, nei casi in cui una chemioterapia o una radioterapia metta a rischio la fertilità del paziente.

    Ovociti
    Dopo la stimolazione ovarica, gli ovociti prelevati possono essere congelati e utilizzati in seguito. Questo evita la necessità di ripetere la stimolazione della crescita follicolare e un nuovo prelievo di ovociti nel caso in cui la fertilizzazione non vada a buon fine. La crioconservazione degli ovociti è una procedura offerta alle donne per due ragioni specifiche: conservare la fertilità anche quando è necessario sottoporsi a terapie antitumorali e disporre di una riserva ovocitaria utilizzabile per ripetere la fecondazione assistita senza dover ricorrere ad una nuova stimolazione ovarica. Con la crioconservazione è possibile conservare un numero indefinito di ovociti che possono essere resi disponibili in qualunque momento per iniziare una procedura di fecondazione assistita, nella quale le uova crioconservate vengono impiegate per iniziare una gravidanza.

    La vitrificazione

    La vitrificazione, congelamento ultrarapido degli ovociti, è una tecnica di crioconservazione con altissimi livelli di sopravvivenza che associa a questo vantaggio fondamentale la relativa semplicità e il costo contenuto. In ambito scientifico si ritiene che la vitrificazione rappresenti il futuro della crioconservazione e la maggior parte degli studi scientifici pubblicati evidenzia che questo metodo è molto più efficiente e affidabile di qualunque altra versione del congelamento lento.

    In condizioni normali la donna produce un uovo maturo ogni 28 giorni, tuttavia la probabilità di una crioconservazione e di una successiva fecondazione con un solo ovocita è molto bassa. Per aumentare le probabilità di sopravvivenza delle uova e la possibilità di fecondarle dopo la crioconservazione, le donne che vogliono accedere a questo servizio si sottopongono a stimolazione ovarica per produrre un maggior numero di ovociti. Gli ovociti raccolti vengono quindi criopreservati per mezzo di una tecnica chiamata vitrificazione. Il processo di vitrificazione elimina l’acqua normalmente presente all’interno degli ovociti e la sostituisce con speciali soluzioni crioprotettive. Gli ovociti sono, quindi, sigillati e crioconservati in azoto liquido a una temperatura bassissima. Il processo di recupero consiste nel riscaldamento delle provette e del loro contenuto e nell’invertire il processo di vitrificazione ponendo gli ovociti in diverse soluzioni che eliminano i criopreservanti e ripristinano il contenuto di acqua degli ovociti.

    Utilità della crioconservazione

    Numerosi studi scientifici indipendenti confermano ormai che i risultati ottenuti dagli ovociti crioconservati con la tecnica della vitrificazione sono identici a quelli conseguiti con l’impiego di ovociti freschi. Oggi è possibile crioconservare anche gli ovociti, oltre agli spermatozoi, con tassi di gravidanza paragonabili a quelli degli embrioni. Molte donne che producono un numero elevato di ovociti potranno evitare di ripetere interamente il ciclo, se il primo fallisce, senza sottoporsi nuovamente alla stimolazione ormonale e al prelievo ovocitario. Inoltre è possibile crioconservare una grande quantità di ovociti provenienti da donne giovani in tutto il mondo ed utilizzarli quando si vuole e in qualsiasi luogo. Infine, una donna che desidera conservare la propria fertilità per ragioni mediche (cure antitumorali) o pratiche (posposizione della gravidanza) potrà farlo prima di avere un partner stabile.

    L’Italia, inoltre, è leader in questo settore. La preservazione della fertilità per le donne a rischio di perdere la loro capacità riproduttiva, è una prerogativa indispensabile di un sistema sanitario polifunzionale che si faccia carico della qualità della vita futura delle pazienti.

    Le principali indicazioni alla crioconservazione ovocitaria e degli spermatozoi?

    Tante possono essere le indicazioni alla crioconservazione ovocitaria o degli spermatozoi per la preservazione della fertilità, da quelle mediche (malattie oncologiche, malattie ginecologiche benigne es. endometriosi severa, malattie sistemiche che possono compromettere la riserva ovarica, rischio genetico di menopausa precoce) a quelle più prettamente personali (“social freezing”) che interessano donne che decidono per vari motivi di posticipare la ricerca di una gravidanza o uomini con problemi di liquido seminale che vogliono conservare la loro futura possibilità di avere un figlio.

    “Social Freezing”

    I ritmi della società moderna, la ricerca di affermazione professionale e l’attesa per un raggiungimento di stabilità economica, portano la donna a posticipare il progetto di maternità. Con il 34,7% l’Italia ha conquistato il podio per la percentuale più alta di donne che hanno avuto il primo figlio dopo i 35 anni. Seguono le donne spagnole (29,5%) e irlandesi (27,9%). La crioconservazione degli ovociti, offre alle donne uno strumento efficacie per la preservazione della loro fertilità, consentendo una pianificazione della gravidanza nei diversi scenari e contesti sociali e in relazione alle scelte e al vissuto della singola donna. Quali sono i tumori più comuni nella popolazione femminile in età fertile? In Italia tra le patologie neoplastiche che colpiscono ogni anno più di 9000 donne in età potenzialmente fertile, il cancro al seno rappresenta quella che interessa il maggior numero di donne (2.420 donne in Italia, fonte ISTAT).

    Patologie ginecologiche

    La preservazione della fertilità, è sicuramente indicata in quelle persone che devono sottoporsi a terapie chirurgiche per trattare l’endometriosi severa, per rimuovere formazioni cistiche o solide alle ovaie, o in quelle donne a rischio di fallimento ovarico prematuro (POF) che hanno in famiglia casi di menopausa molto precoce. Tutte queste persone, corrono un rischio aumentato di forte riduzione o esaurimento della funzione ovarica anche in giovanissima età.

    Endometriosi severa

    E’ una patologia benigna che porta ad un forte aumento del rischio di sterilità. Si stima che circa il 10% della popolazione femminile in Europa, soffra di una qualche forma di endometriosi.

    Dato il carattere progressivo della malattia, nelle sue localizzazioni ovariche si viene a determinare una graduale distruzione del tessuto ovarico sano, con conseguente riduzione della riserva di ovociti. Inoltre, gli interventi chirurgici di asportazione di focolai endometriosici ovarici o di cisti endometriosiche, portano a un danneggiamento più o meno esteso del tessuto ovarico sano con ulteriore riduzione della riserva ovarica. Pertanto, in giovani donne con forme particolarmente aggressive o con formazioni cistiche voluminose, soprattutto se bilaterali, è suggeribile, prima di sottoporsi ad intervento chirurgico, recuperare ovociti e crioconservarli poiché è ormai ben chiaro in letteratura, che la riduzione della riserva ovarica dopo trattamento chirurgico va dal 40% alla completa sterilità, descritta nel 2-3% dei casi qualora le cisti siano bilaterali. Una rilevazione del Censis Bureau effettuata nel 2004, ha evidenziato che in Italia la malattia potrebbe interessare oltre 2 milioni 900 mila donne su una popolazione di 58 milioni di persone, anche se l’esatta ‘prevalenza’ (ossia la stima della popolazione di donne sottoposte a cura in un dato periodo di tempo) e la precisa ‘incidenza’ (ossia il numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno), non sono perfettamente noti.

    Menopausa precoce

    Le donne potenzialmente a rischio di andare in menopausa precoce prima dei 40 anni e quindi a rischio di sterilità in giovane età (la difficoltà a rimanere in gravidanza inizia 10-12 anni prima della insorgenza della menopausa), sono l’1% della popolazione femminile, mentre sono circa il 10% quelle donne che entreranno in menopausa tra 40 e 45 anni e che quindi inizieranno ad avere problemi a concepire tra i 30 e i 35 anni.

    Patologie neoplastiche

    In Italia, si ammalano di cancro ogni anno 15.907 persone, tra donne e uomini, in età potenzialmente fertile (15-39 anni) (dati ISTAT). Di queste, 9.410 sono donne e rischiano la sterilità a causa delle terapie antitumorali. Tali trattamenti hanno portato negli ultimi anni, ad un progressivo aumento dei tassi di sopravvivenza delle bambine e delle giovani donne affette da neoplasie quali linfomi, leucemie, tumori della mammella e tumori ovarici. Tuttavia a fronte di un significativo miglioramento dei tassi di sopravvivenza, si riscontra molto spesso un danno al potenziale riproduttivo variabile e dipendente dall’età della donna, dal tipo di trattamento oncologico e dalla dimensione iniziale della riserva ovarica della singola paziente. Sul piano psicologico, è chiaro però che la prospettiva della perdita del potenziale riproduttivo, aumenta lo stress cui sono già sottoposti i pazienti, preoccupati dal rischio di un peggioramento della qualità di vita anche a lungo termine. Altre patologie neoplastiche (nuovi casi ogni anno in Italia): • melanoma (787 donne) • linfoma di Hodgkin (488 donne) • cancro alla cervice uterina (468 donne) • cancro ovarico (319 donne) • cancro colon-rettale (299 donne)

    Tutte le terapie oncologiche mettono a rischio la fertilità?

    Gli agenti chemioterapici e i trattamenti radioterapici, non agiscono tutti con la stessa aggressività e il rischio di perdere la fertilità dipende da questi fattori: • età al momento dell’inizio della terapia • tipo e dosaggio della chemioterapia • esposizione e dose della radioterapia Il rischio di scomparsa del ciclo mestruale (menopausa), viene stimato essere 40% a 35 anni e 80% a 40 anni. Il potenziale riproduttivo è invece fortemente compromesso nella quasi totalità delle pazienti. Normalmente, dopo chemio/radioterapia si può verificare o una menopausa precoce o si può avere la ripresa della regolarità mestruale la quale, però, non vuol dire necessariamente fertilità. Di solito, la ripresa del ciclo mestruale, ha una durata di qualche anno prima di cessare con l’ingresso in menopausa e in questo periodo la fertilità della donna è in ogni caso fortemente ridotta. La crioconservazione degli ovociti è consigliata sempre prima di una chemio/radioterapia.

    Esiste un limite di età alla conservazione degli ovociti?

    La crioconservare ovociti dopo i 38 anni, offre possibilità di gravidanza significativamente più basse rispetto a quando si congelano prima di questa età. All’aumentare dell’età della donna, diminuisce il numero di ovociti a disposizione e soprattutto i pochi rimasti hanno un’elevata probabilità di non essere competenti.

    E’ possibile predire quale sarà il danno di una determinata terapia chirurgica o farmacologica sulla capacità riproduttiva?

    La riserva ovarica della donna può variare notevolmente da donna a donna nella medesima fascia di età. La valutazione della riserva ovarica prima di iniziare la terapia antitumorale e il tipo di trattamento farmacologico e/o radiologico da somministrare, può solo minimamente predire la possibilità di una eventuale menopausa. In ogni caso il danno ovocitario sarà grande, potendo andare da una riduzione importante della riserva ovarica alla completa distruzione del patrimonio ovocitario con conseguente menopausa. Pertanto programmare la crioconservazione degli ovociti, è sempre raccomandabile soprattutto nelle donne giovani o con una buona riserva ovarica, in quanto sarà maggiore la probabilità di ottenere un buon numero di ovociti. Più ovociti si ottengono, infatti, maggiore sarà poi la probabilità di una gravidanza.

    Quali sono le indagini necessarie per la valutazione della riserva ovarica?

    Le indagini necessarie per la valutazione della riserva ovarica sono:

    • la determinazione sierica dell’ormone antimulleriano (AMH) che si può determinare in qualunque momento del ciclo;
    • la determinazione degli ormoni FSH e Estradiolo il 2° o il 3° giorno del ciclo
    • un’ecografia pelvica transvaginale da cui è possibile contare i follicoli antrali.

    Un completo counseling con la paziente sulla reale efficacia della preservazione della fertilità, può essere effettuato solo dopo la valutazione della riserva ovarica e in relazione all’età. E’ necessaria, quindi, una stretta collaborazione tra il ginecologo esperto in Medicina della Riproduzione e l’oncologo.

    Il prelievo degli ovociti prevede una terapia di stimolazione ormonale ovarica?

    Prevede una terapia di stimolazione ormonale ovarica che è normalmente eseguita con la somministrazione dello stesso ormone che è prodotto naturalmente dall’ipofisi, l’ormone follicolo stimolante (FSH), lo stesso che, fisiologicamente, permette lo sviluppo di un follicolo. Nella stimolazione, l’FSH viene somministrato per via sottocutanea per una decina di giorni per portare a maturazione più follicoli, il cui numero dipende sempre dalla riserva ovarica della donna. Infatti, se la donna ha una scarsa riserva ovarica, anche con la stimolazione ormonale si riusciranno a portare a maturazione pochi o pochissimi follicoli e di conseguenza a recuperare pochi ovociti.

    La stimolazione ormonale ovarica può avere effetti negativi, peggioramenti o ricadute della malattia?

    La stimolazione ormonale ovarica, non sembra avere effetti negativi né sul decorso della malattia tumorale né su eventuali recidive. Negli ultimi anni, diversi studi hanno dimostrato che la stimolazione ormonale ovarica, anche ripetuta più di quattro volte, non aumenta il rischio per la paziente di sviluppare il cancro della mammella o di recidive della malattia. Questa stimolazione deve essere fatta dopo il trattamento chirurgico e prima della terapia anti tumorale.

    E’ possibile effettuare la stimolazione ormonale ovarica anche per le pazienti con tumori ormono-dipendenti?

    La stimolazione ovarica porta ad un aumento del numero di follicoli. Ogni follicolo pre-ovulatorio, produce una certa quantità di estrogeni. In una induzione della crescita follicolare multipla, si possono ottenere livelli sierici di estrogeni anche 10 volte superiori a quelli di un ciclo fisiologico, per un periodo di tempo di circa 1 settimana – 10 giorni. Uno studio recentissimo (2013), ha riportato che non vi è alcun aumento di recidive dopo la gravidanza (che vede livelli altissimi di estrogeni per nove mesi) in pazienti trattate dopo cancro della mammella con recettori estrogeno-positivi. Tuttavia, per massima precauzione, allo scopo di ridurre i livelli di estrogeni durante la stimolazione ormonale l’ASCO (American Society of Clinical Oncology) ha suggerito di associare all’ormone follicolo-stimolante, anche un farmaco inibitore dell’aromatasi che permette di tenere più bassi i livelli di estrogeni in pazienti con tumori ormono-dipendenti. In letteratura, però, nonostante la raccomandazione dell’ASCO, al momento non è assolutamente dimostrata la necessità di associare tale farmaco alla stimolazione ormonale.

    Quanti ovociti si possono ottenere in media da ogni ciclo di stimolazione?

    Il numero degli ovociti che si possono ottenere dopo stimolazione ormonale, dipende dalla riserva ovarica della paziente e non dalla stimolazione stessa. Ogni mese, infatti, le donne mettono a disposizione un limitato numero di follicoli e solo su questi la stimolazione può agire. Possiamo stimare che in media le donne in età riproduttiva, mettono a disposizione 7-10 follicoli (e quindi ovociti) al mese.

    Quanti ovociti devono essere conservati per avere le maggiori possibilità di ottenere una gravidanza?

    Devono essere crioconservati dagli 8 ovociti in su, per ottenere un tasso di gravidanza intorno al 40% una volta scongelati in donne fino a 38 anni. Ma, più sono gli ovociti e ovviamente meglio è. A tale scopo si può programmare anche una seconda stimolazione ovarica se si ha tempo a disposizione.

    Quali sono le principali tecniche di crioconservazione?

    Esistono due modalità di crioconservazione ovocitaria:

    • Il congelamento lento
    • Il congelamento ultrarapido o “vitrificazione”

    Le differenze riguardano la concentrazione di sostanze chiamate ‘crioprotettori’ utilizzate, la durata del tempo di congelamento e la velocità di raffreddamento delle cellule uovo. Nel lento, l’ovocita e l’ambiente circostante sono tenuti in “equilibrio” fino ad ottenere la solidificazione della soluzione crioprotettrice e la disidratazione cellulare con il progressivo e programmato raffreddamento del sistema (-0.3°C/min). Nella vitrificazione il raffreddamento avviene in modo estremamente rapido (-30.000 °C/min) sfruttando due aspetti chiave: l’immersione diretta degli ovociti in azoto liquido e l’utilizzo di elevate concentrazioni di sostanze crioprotettrici in minimi volumi. In questo modo si evita la formazione di cristalli di ghiaccio intracellulare, estremamente dannosi per la cellula. Le due più importanti società scientifiche americane di oncologia (ASCO) e di medicina riproduttiva (ASRM), non considerano più il congelamento ovocitario con il metodo della vitrificazione una “tecnica sperimentale” ma “standard”. I risultati ottenuti con tale tecnica, sono stati infatti ritenuti sufficientemente buoni e riproducibili sia in termini di sopravvivenza (>90%) che di sviluppo embrionale, addirittura simili a quelli che si ottengono con ovociti freschi. Queste evidenze rendono la tecnica di vitrificazione l’approccio elettivo per la crioconservazione ovocitaria.

    Con la crioconservazione degli ovociti quante possibilità si hanno di avere una gravidanza a termine dopo la guarigione?

    Dipende da tantissimi fattori. I più importanti sono l’età della donna al momento della crioconservazione e quanti ovociti sono conservati. Possiamo stimare che le probabilità di ottenere un bambino allo scongelamento, sia molto alta (circa 40%) in donne giovani (fino a 38 anni) con una buona riserva ovarica e purtroppo molto più bassa (circa 10%) in donne dopo i 38 anni specialmente se la riserva ovarica è compromessa. E’ comunque normalmente consigliato, cercare una gravidanza dopo 2 anni dalla fine della terapia oncologica anche se dati recenti dimostrano la non pericolosità di una gravidanza anche dopo soli 6 mesi dalla fine della terapia. Per la fecondazione al momento dello scongelamento, può essere utilizzata solo la tecnica ICSI (microiniezione intra-citoplasmatica dello spermatozoo).

    Maturazione in-vitro di ovociti immaturi senza stimolazione ormonale: che cos’è? come funziona?

    La maturazione in-vitro di ovociti immaturi (IVM), è una tecnica che si deve considerare ancora sperimentale. Consiste nel prelevare ovociti immaturi da follicoli di 10-12 mm senza o quasi senza stimolazione ovarica ormonale per poi maturarli in-vitro e quindi congelarli. I risultati clinici riportati nel mondo con questa tecnica, sono molto limitati e non eccellenti. Per questo motivo, nonostante la IVM sia stata descritta e proposta già da tanti anni, viene utilizzata solo in pochissimi centri in Italia e nel mondo. Può trovare indicazione solo in pazienti che hanno tantissimi follicoli (come nell’ovaio micropolicistico), mentre ha scarsissimo senso utilizzarla in tutte le altre circostanze.

    Esiste anche la possibilità di prelevare il tessuto ovarico (invece che ovociti) e reimpiantarlo successivamente?

    La prima gravidanza pubblicata dopo reimpianto ortotopico (nella stessa zona anatomica dell’ovaio) di tessuto ovarico crioconservato, è avvenuta circa 15 anni fa e da allora sono riportate nel mondo una ventina di gravidanze ottenute in questo modo. Quindi, si potrebbe dire, che il primo limite sia proprio l’efficacia della metodica in termini di probabilità di concepimento, soprattutto quando a fronte di questa ventina di gravidanze ottenute, non sappiamo quante donne nel mondo in questi anni sono state sottoposte a questo trattamento. Altri limiti, possono essere rappresentati dal rischio di re-impianto di cellule neoplastiche quando il tessuto viene trapiantato, soprattutto in caso di neoplasie ematologiche. I vantaggi sono dati dal fatto che è l’unico modo di preservazione della fertilità nelle bambine prepubere e soprattutto nelle donne giovani permette il ripristino della funzione endocrina ovarica (anche se limitato nel tempo). E’ una tecnica sperimentale, che però merita ancora ricerca scientifica per migliorarne i risultati e per validarne l’applicazione clinica.

    Esiste un’adeguata informazione sulle tecniche di preservazione della fertilità femminile?

    Migliaia di donne ogni anno, potrebbero proteggere la propria fertilità per diverse indicazioni in vista di una gravidanza futura ma manca l’informazione. Esiste, infatti, un grave deficit di informazione alle pazienti oncologiche in età riproduttiva, ma anche ai molti operatori del settore: è normale che di fronte ad una diagnosi di tumore, la priorità sia quella di combattere la malattia con tutte le risorse possibili per salvare la vita delle pazienti. Purtroppo, però, della possibilità di preservare la fertilità futura di queste donne non si parla ancora abbastanza. Nonostante ci siano opzioni molto valide a disposizione, la mancanza di informazione porta le donne a trovarsi di fronte a scelte più limitate dopo la malattia, come la donazione di ovociti o l’adozione.

    E’ consigliabile un counseling psicologico quando si affronta un percorso complesso di questo tipo?

    Fondamentale è discutere la preservazione della fertilità con tutti i pazienti in età riproduttiva (maschi e femmine), se esiste il rischio che la terapia porti a sterilità. E’ auspicabile un counseling approfondito sia con l’oncologo, sia con il ginecologo esperto in medicina della riproduzione, che con lo psicologo. Quest’ultimo, inoltre, risulta essere determinante nell’accompagnare e sostenere la paziente in questo percorso.

    La crioconservazione degli ovociti come strategia di conservazione della fertilità è normata in Italia?

    La crioconservazione degli ovociti non rientra tra le procedure previste dalla legge 40/2004 sulla Procreazione Medicalmente Assistita e quindi non è normata. Si tratta di una autoconservazione e non di una procreazione medicalmente assistita che consiste invece nella creazione di embrioni e che quindi prevede la partecipazione anche del partner maschile.

    La conservazione di embrioni come forma di preservazione della fertilità in pazienti ammalate di tumore è consentita in Italia?

    La conservazione degli embrioni per preservare la fertilità di una donna non è possibile in Italia per diversi motivi:

    • Nelle donne che ancora non hanno un compagno stabile, per ottenere embrioni si dovrebbe far ricorso a seme di donatore. Questa procedura di fecondazione eterologa in Italia è vietata dalla Legge 40/2004;
    • Motivi etici, se la donna non sopravvive alla malattia rimarrebbero embrioni crioconservati in stato di abbandono;
    • Motivi legali, in Italia il congelamento embrionario è consentito, in deroga al divieto presente nella legge 40/2004, solo nei casi in cui si dovessero produrre più embrioni di quelli strettamente necessari a massimizzare i risultati senza compromettere la salute della donna durante un singolo trasferimento in utero. Quindi, non è possibile programmare una fecondazione in vitro allo scopo di formare embrioni da crioconservare per essere potenzialmente utilizzati in futuro.

    Si possono conservare gli ovociti anche se non si ha un partner stabile?

    Si, anzi uno dei vantaggi del congelamento ovocitario (a differenza di quello embrionario) sta proprio nella possibilità per le donne single di preservare la propria fertilità senza dover ricorrere al seme di un donatore o dover chiedere al partner del momento di aiutarle in questo percorso. Non solo perché vi è il divieto imposto dalla Legge 40/2004, ma soprattutto perché la scelta del partner maschile (futuro papà del tanto desiderato figlio) potrà essere effettuata dalla donna al momento del concepimento, dopo la guarigione dalla malattia, in piena libertà.

    Quale lo Stato dell’Arte nell’uomo?

    Per quanto riguarda l’uomo, si è visto che in circa la metà dei pazienti sottoposti a trattamenti anti-neoplastici si ha una riduzione significativa della qualità del liquido seminale, nel 25-30% dei soggetti trattati si registra una assoluta assenza di spermatozoi nel campione seminale che determina la sterilità anche molti anni dopo la fine delle terapie. In alcuni pazienti, dopo qualche anno dalla remissione completa dalla malattia tumorale, si può assistere ad un ripristino della fertilità.

    Il congelamento del liquido seminale rappresenta una concreta possibilità di preservazione della fertilità nell’uomo e consente di conservare gli spermatozoi per un tempo indefinito sospendendo in modo reversibile le attività biologiche di queste cellule. È molto importante, però, che il congelamento del liquido seminale sia effettuato prima di sottoporsi a chemio/radioterapia, prima quindi che questi trattamenti possano danneggiare gli spermatozoi. Gli spermatozoi sono cellule molto resistenti e l’unica alterazione che subiscono in seguito al congelamento e allo scongelamento è la riduzione del 15-20% della motilità rispetto a quella che possedevano prima del congelamento. La vitalità e la capacità fecondante rimangono inalterate. La criopreservazione può essere fatta anche nei casi di pazienti azoospermici, recuperando gli spermatozoi da frammenti di tessuto testicolare ottenuti mediante agoaspirato testicolare (TESA) o biopsia testicolare (TESE). Un problema più difficile da affrontare è la conservazione della fertilità in giovani pazienti in età prepuberale-adolescenziale, perché meno pronti ad affrontare la produzione del campione seminale.